La nuova canzone italiana ha in Noemi una delle sue voci più potenti, originali e flessibili oltreché un’interprete di straordinaria intensità emotiva. Messasi in luce nel 2009, in occasione della seconda edizione italiana di X Factor, l’artista romana ha saputo percorrere gradino dopo gradino la scala del successo con continuità e impegno pari alla enorme passione che trasuda da ogni sua interpretazione. L’intensità scura e abrasiva del suo canto, capace di spaziare tra i registri di contralto e mezzosoprano, è straordinariamente in sintonia con l’estetica del jazz, del soul, del gospel e del rhythm’n’blues ed è ormai un marchio inconfondibile che la distingue da ogni altra voce del pur affollato panorama canoro italiano. Infatti, non è certo a caso che la stessa Noemi abbia indicato tra i propri numi ispiratori artisti come Billie Holiday, Janis Joplin, Aretha Franklin, James Brown ed altre leggende della black music. Alle doti vocali, inoltre, Noemi ha saputo aggiungere anche un notevole talento compositivo e letterario (molte sue canzoni sono stata premiate per lo spessore dei testi) oltre ad una apprezzabile perizia nel suonare pianoforte e chitarra, strumenti con cui spesso si accompagna in concerto. Il suo percorso, già cospicuo ma ancora in splendida ascesa, è costellato di numerosi premi e riconoscimenti, di album pubblicati con parsimonia pari alla cura nel realizzarli, di canzoni che hanno lasciato sempre il segno e, soprattutto, dell’apprezzamento sia del pubblico che degli stessi colleghi (tra cui Anastacia, Fiorella Mannoia e Gaetano Curreri) che in lei riconoscono un’artista davvero speciale.
Per quanto possa sembrare incredibile, pare proprio che Cory Henry a soli due anni cominciasse a trafficare sulla tastiera di un Hammond B3, a cinque anni venisse già chiamato “Maestro Henry” per la prodigiosa capacità di accompagnare qualsiasi canzone in ogni possibile chiave d’organo e a sei anni, addirittura, debuttasse pubblicamente in concerto all’Apollo Theater di New York, mitico tempio della musica nera nel cuore di Harlem. Di sicuro, il pianista, organista, tastierista, cantante e produttore discografico di Brooklyn oltre a essere un talento assai precoce è un artista incredibilmente poliedrico che poi ha saputo mantenere in pieno le promesse dell’infanzia, divenendo in breve una delle figure cruciali di quella vasta area dell’attuale black music statunitense attorno a cui ruotano e si mescolano espressioni pulsanti come jazz, gospel, rhythm’n’blues, soul, rap e funk. Dopo avere militato nella celebre band americana Snarky Puppy (con cui ha vinto tre Grammy Awards), Cory dal 2018 ha intrapreso un percorso personale ad ampio raggio che ne ha accresciuto fama e prestigio grazie a intuito, fantasia, doti musicali fuori dall’ordinario e collaborazioni eccellenti, tra cui quelle con Quincy Jones, Bruce Springsteen, Kenny Garrett, Yolanda Adams, Kanye West e Frank Ocean. Intanto, appena lo scorso marzo Cory Henry è stato eletto “pianista jazz dell’anno” al prestigioso premio “Pianote Awards” mentre ha ricevuto importanti nomination in tutte le ultime edizioni degli ambitissimi Grammy Awards.
Proprio lo scorso novembre, inaugurando la stagione concertistica, Veronica Swift si esibiva per la prima volta in Sicilia e subito stregava il pubblico sfoggiando travolgente freschezza, esuberante vocalità, stordente verve interpretativa e una coloratissima tavolozza espressiva degna di un’artista già matura (nonostante la giovane età) capace di dominare con stupefacente semplicità un impegnativo repertorio di jazz e rock e perfino di citazioni classiche. A quanto pare la cantante della Virginia (che ha da poco compiuto i trent’anni) è avvezza a bruciare le tappe se è vero che ad appena undici anni debuttava nientemeno che con la prestigiosa orchestra del Lincoln Center diretta da Wynton Marsalis; da allora è passata di successo in successo, incantando le platee di tutto il mondo con la perfetta intonazione vocale, lo scat ubriacante, la vertigine dei ritmi e l’impetuosità di una presenza scenica da consumata rockstar. Il suo ultimo album, specchio di un rigoglio decisamente poliedrico, è una sorta di sfacciata confessione in cui Veronica Swift afferma di essere certo una cantante jazz ma di aver diritto ad esplorare anche musica classica, bossa nova, opera francese e italiana, blues, hard-rock e industrial-rock, funk, vaudeville e molto altro ancora. Insomma, una magnifica ribelle che al jazz sa regalare nuova linfa e inediti orizzonti.
Molto scherzosamente ma con altrettanto affetto e ammirazione, Quincy Jones li ha chiamati “i gatti canterini più cattivi del pianeta” e di questa definizione sono così orgogliosi da averla posta in cima al proprio sito ufficiale. Con dieci Grammy Awards finora conquistati ed una lista lunghissima di altri importanti riconoscimenti, di sicuro i Take 6 sono il gruppo a cappella più premiato della storia e da oltre quarant’anni costituiscono una leggenda della vocalità neroamericana. La loro avventura era cominciata all’inizio degli anni Ottanta come quartetto e dal 1987 come sestetto (nel 1991 sono stati già ospiti del Brass Group) e da allora questo straordinario ensemble continua ad affascinare il pubblico internazionale in virtù di una strepitosa vocalità che sa creare, senza l’ausilio di alcuno strumento, rigogliose trame musicali che intrecciano gospel, jazz, pop, soul, hip hop, rhythm’n blues e molto altro ancora. La loro luminosa carriera è costellata di incisioni discografiche considerate pietre miliari del canto nero, tour trionfali in ogni parte del mondo, partecipazioni a colonne sonore cinematografiche di film di successo (ad esempio “Fa’ la cosa giusta” di Spike Lee e “Dick Tracy” di Warren Beatty) e una quantità enorme di collaborazioni prestigiose con miti e celebrità di ogni ambito musicale, tra cui Ray Charles, Ella Fitzgerald, Stevie Wonder, Incognito, Whitney Houston, Marcus Miller, Al Jarreau, Queen Latifah e, ovviamente, Quincy Jones.